La Malnata è il romanzo d’esordio di Beatrice Salvioni, classe 1995.
La recensione, con i miei occhi
La chiamavano la Malnata e non piaceva a nessuno. Dire il suo nome portava sfortuna. Era una strega, una di quelle che ti appiccicano addosso il respiro della morte. Aveva il demonio dentro e con lei non ci dovevo parlare.
È l’incipit del romanzo pubblicato da Einaudi, il romanzo di esordio di Beatrice Salvioni, classe 1995, laureata in Filologia moderna alla Cattolica e ha svolto il biennio alla Scuola Holden di Torino.
Un libro di cui ho sentito parlare già un paio di anni fa. Leggenda narra che alla Holden, la scuola di scrittura fondata da Alessandro Baricco, il manoscritto di un’allieva era stato conteso da diverse case editrici e al suo debutto i diritti esteri erano stati venduti in 32 paesi. Non è ovviamente un pettegolezzo, la notizia oggi è confermata dai fatti: il 21 marzo, infatti, è uscito in contemporanea in Italia, Francia, Spagna, Paesi Bassi. Hanno fatto seguito Germania e Stati Uniti, annunciato come caso editoriale già dalla Fiera del Libro di Francoforte del 2021.
Beatrice Salvioni ha fatto anche la presentazione al Salone del Libro di Torino (18/22 maggio) e io, mannaggia a me, non sono riuscita a seguirla (alla Fiera, il gioco del tetris va per la maggiore: incastrare impegni e occasioni letterarie da seguire!)
E allora eccomi qui: potevo non leggerlo?
La storia è ambientata a Monza nel ventennio fascista, in particolare si cita il 1936 quando Mussolini aveva già dichiarato guerra all’Abissinia e agli uomini di partire per la conquista dell’Etiopia, promettendo un grande impero coloniale che invece non ci sarà mai, e chiede alle donne di sacrificarsi per la Patria donando le loro fedi d’oro.
Il contesto mi piace perché sono un’appassionata di storia: il libro è permeato di simboli, riti, il braccio alzato per il saluto, le marce dei giovani, gli insegnamenti a scuola, la morale che voleva la donna sottomessa all’uomo, specie se indossava la camicia nera.
Il mondo era fatto di regole che non dovevano essere violate. Era fatto di cose da grandi enormi e pericolose, di irrimediabili sbagli che ti potevano uccidere o mandare in prigione. Era un posto spaventoso, pieno di cose proibite, in cui dovevi camminare piano e in punta di piedi, stando attenta a non toccare niente. Soprattutto se eri femmina.
Questa vicenda fa da cornice alle vicende di Francesca, figlia di un industriale che fabbrica cappelli e della sua sciocca e arrivista moglie e di Maddalena, detta appunto la Malnata, un soprannome datole dalla gente che la addita come il diavolo in persona anche per una macchia violacea che ha sulla tempia. A dispetto delle differenti famiglie e classi sociali di appartenenza, le due ragazze diventano inseparabili, di un’amicizia viscerale a tal punto che ho pensato che tra loro vi fosse anche una relazione d’amore che in realtà non sarà mai esplicitata.
Il fiume Lambro è l’altro protagonista di questa vicenda, insieme a Noè, il figlio del fruttivendolo di cui tutti hanno paura, ovvero il signor Tre Soldi che, a differenza sua, rimane un ragazzo gentile, che crede nel futuro e non teme i fascisti, quelli che con la loro divisa e le loro medaglie in bella vista sottomettono, abusano e si impongono sulle donne, una tra tutte Donatella, sorella della Malnata.
L’autrice conosce la storia, ha studiato benissimo il contesto soprattutto della sua città, tanto che cita Tazio Nuvolari a Monza che passa da lì e la gente si rovescia nelle strade durante il Gran Premio, quello in cui il campione arrivò dietro il tedesco Hans Stuck, e tratteggia ritratti di donne dimesse e ipocrite per timore della violenza e del giudizio su di loro e di altre, come la Malnata, capaci di andare oltre. Maddalena non è solo coraggiosa, è una potenza spirituale e contagiosa, in grado di attirare le anime dei leali e di chi vuole che i diritti siano uguali per tutti.
Su questo romanzo, come è immaginabile, c’è chi lo ha criticato. Chi ha scritto che un esordio così con il botto (patinato- ho letto questo aggettivo che non mi sembra adatto, acerba la scrittura, anche qui non concordo) non può essere e chi lo ha definito meritevole di successo.
I libri, come i film e gli spettacoli teatrali, vanno gustati e ciascuno ha il proprio palato. La scrittura di Beatrice Salvioli è ruvida come la sua storia, intrisa di metafore, di sensazioni tattili. Di odori e sapori che ti restano in bocca e sulla pelle. Cosa avrei cambiato? Il finale. Avrei calcato la mano (non voglio spoilerare), avrei voluto vedere di più quella giustizia che trionfava sugli umili. Su quei poveracci che hanno sofferto e ci hanno fatto penare per oltre duecento pagine: a Maddalena, la Malnata, è mancato un momento di gloria. Fino alla fine si fa il tifo per lei e meritava un nuovo equilibrio, un nuovo inizio, che mi è sembrato solo accennato.
Da leggere?
Sì, io lo consiglio.
È una lettura molto interessante a partire dagli anni del liceo, non prima, proprio per il contesto storico e alcune scene narrate. Credo che si potrebbe trarre una serie TV o un film perché la trama si presta moltissimo.
Il romanzo è disponibile anche in audiolibro su Audible con la voce di Silvia Siravo