La piccola città, protagonisti i neodiplomati della STM, in scena al Maggiore di Verbania, per la regia di Gabriele Vacis. La recensione
Il sipario è già aperto al Maggiore di Verbania, quando il pubblico entra a teatro, sabato 25 settembre.
I ragazzi, i quattordici allievi attori neodiplomati della Scuola del Teatro Musicale, centro di formazione e produzione per il Musical riconosciuto dal MUR e sostenuto dal MIC, sono già sul palco. In silenzio, camminano scalzi tra i tavoli quadrati di legno grezzo.
Ci sediamo anche noi in silenzio e il saluto a un amico che non vedevo da tempo, che ha un posto dietro di me, avviene sottovoce, quasi a sussurrare piano quell’emozione di rivedersi di nuovo in platea.
I protagonisti de “La piccola città”, diretti dal M° Gabriele Vacis con il prestigioso patrocinio morale della Fondazione De André Onlus, attendono che le luci si affievoliscano per farci entrare, con loro, a Grover’s Corners, nel New Hampshire, in America, ne “La piccola città” di Thornton Wilder.
La mia mente ha associato subito l’antologia di Spoon River, che negli anni universitari ho amato molto e ho citato anche in R come infinito. Una città, questo ci narrano i protagonisti, che è il luogo delle radici e dei momenti di vita, fatta di relazioni, legami, feste e ricorrenze. A Grover’s Corners, ci si conosce tutti: partecipare alle vicende umane dei suoi abitanti è qualcosa di semplice e naturale, qualcosa di assolutamente normale che ha il sapore dello straordinario.
La coralità della cittadina gira intorno all’amore di Emily e George; lui che la guarda dalla finestra della casa di fronte, le chiede aiuto per i compiti di matematica, la corteggia, fino a farle la proposta di matrimonio.
È uno scorrere del tempo della vita quotidiana, delle abitudini, senza apparenti grandi slanci come è la normalità, la cui forza è assaporata e compresa dopo la morte, quando quei tavoli di legno si trasformano nelle lapidi di chi è passato oltre.
Qui ritorna Spoon River e gli epitaffi sulle tombe, uno per ciascun abitante, che evocano momenti che non torneranno più. Istanti abitudinari, a cui in vita non viene dato valore: la colazione del mattino preparata da una madre amorevole, il richiamo severo di un padre che avrebbe voluto un futuro diverso per il figlio, la malinconia per quel fratello vivo che, qualche anno dopo, sarà portato via dalla peritonite.
“C’è qualche essere umano che sa amare la vita mentre la sta vivendo?” domanda Emily con la voce rotta dalla commozione, quando ormai è oltre, là dove non può far altro che guardare da spettatrice angelica la sua Grover’s Corners.
“La piccola città” è l’elaborato finale dei diplomati del corso di Laurea Attori di quest’anno, una ricerca drammaturgica che li ha visti lavorare su tre testi teatrali.
Come si legge nelle note di regia, «”Piccola città” di Thornton Wilder è un testo del 1938. Grosso modo racconta qualcosa che Italo Calvino, nelle sue “Città invisibili”, diceva così: – Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato. -, è un luogo della mente in cui la memoria la fa da padrona. Sicuramente Wilder, quando ha scritto la commedia, aveva in mente l’antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters, del 1915.”
La narrazione, condotta dal personaggio che interpreta il direttore di scena, è intervallata dalle musiche di Fabrizio De Andrè, tratte dall’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, cantate dal vivo dai protagonisti che saranno impegnati in una tournée nazionale nella primavera del 2022.
Uno spettacolo, in un unico atto, che ha visto il pubblico in piedi, alla fine, applaudire a più riprese, chiamando i ragazzi sul palco diverse volte.
Un lavoro non semplice, un testo complesso, che nel 1938 vinse il Premio Pulitzer per il teatro, la cui forza è stata la narrazione dei protagonisti, capaci di coinvolgere il pubblico dalla prima all’ultima battuta. Un’impresa non facile dato il palco privo di scenografie e senza cambi di scena.
I miei occhi erano fissi al palcoscenico e le orecchie tese a non perdere neanche un attimo, un dettaglio, una frase poetica da conservare scolpita nel cuore, come gli epitaffi sulle lapidi.
“Per noi vivere è dimenticare, dimenticarci di tutto il passato e pensare solamente a quello che verrà dopo”.
“Adesso lo sai cosa significa essere vivi, aggirarsi in una nuvola di ignoranza, andare attorno calpestando i sentimenti di quelli che avevi vicino. Sprecare il tempo, buttarlo via…”
Lo spettacolo è poetico, le cui frasi diventano citazioni da ricordare.
Una narrazione che anticipa quei concetti a cui oggi ci aggrappiamo per controllare lo stress delle nostre vite frenetiche: vivere l’esistenza con consapevolezza, gustando ogni singolo, banale, quotidiano, abitudinario, momento presente.
Foto e fonte, ufficio stampa che si ringrazia
La Piccola Città
Elaborazione del testo di Gabriele Vacis e degli allievi attori della Scuola del Teatro Musicale
Musiche di scena di Fabrizio De André
Regia e scene Gabriele Vacis
Assistenti alla regia Andrea Caiazzo e Lucia Corna
Assistente alle scene Davide Bassani
Disegno Luci Valerio Tiberi
Disegno Fonico Donato Pepe
Consulenza artistica alle scene e ai costumi Maria Carla Ricotti
Con il patrocinio morale della Fondazione De André Onlus
Interpreti
Claudia Bernardi, Giovan Battista Calandra, Erica Camiolo, Jacopo Dolce, Martina Dulio, Giulia Facchetti, Eleonora Fasano, Federica Giudici, Enea Lorenzoni, Gaia Marassi, Yvette Queirolo, Chiara Romagnoli, Ilaria Tonali, Patrick Zanetta.